La Ferrara di Bassani
Giorgio Bassani, nato a Bologna nel 1916 da una famiglia di origine ebraica, trascorse l’infanzia e la giovinezza a Ferrara, città che ha amato molto, tanto da farla diventare cornice ambientale costante della sue opere letterarie.Tutta la sua opera letteraria ‒ dalle raccolte poetiche Storie di poveri amanti e altri versi del 1945 e Te lucis ante del 1946 poi raccolto con altre poesie nel volume In rima e senza teorie del 1983, alle più note opere in prosa Cinque storie ferraresi del 1956 riedito come Dentro le mura del 1973 e vincitore del premio Strega, Gli occhiali d’oro del 1958, Il giardino dei Finzi-Contini del 1962 e vincitore del premio Viareggio, Dietro la porta del 1964, L’airone del 1968 vincitore del premio Campiello e L’odore del fieno del 1972 – rivela, infatti, una notevole capacità di descrivere gli ambienti ferraresi.
Bassani tornò spesso a Ferrara, anche quando gli impegni lavorativi lo avevano ormai condotto prima a Firenze e poi a Roma, dove trascorse il resto della sua vita.
La città è presente nella sua opera anche per le vicende legate all’avvento del fascismo, alle leggi razziali e alla guerra. Egli, che fu partigiano, disse in un'intervista Rai che a Ferrara l’esperienza del fascismo fu estrema, assoluta. Lo scrittore, diventato un antifascista militante due anni prima della pubblicazione delle leggi razziali, nel 1936, ricorda che lo stesso sindaco di Ferrara, allora, era ebreo e fascista, come molti ebrei ignari del loro destino.
Parlando della borghesia italiana, Bassani le rimprovera di non avere il senso dello Stato, ma solo quello, ristretto, della famiglia. Lo scrittore mette in guardia i giovani dal pericolo di dimenticare.
Se si cerca il Giardino dei Finzi-Contini, di per sé, non esiste. Bassani ha scritto la storia di questa famiglia, ispirandosi probabilmente a quella di Silvio Finzi-Magrini, ferrarese che venne deportato ad Auschwitz partendo dal Campo di Fossili, nei pressi di Carpi.La vicenda ha sicuramente un’ispirazione reale, ma non c’è un vero e proprio luogo in cui si riconosca il famoso giardino.
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Per cercare la Ferrara dei Finzi-Contini si può partire Corso Ercole I d’Este. E’ una delle strade che, dalle mura, dalla porta dell’Angelo, conduce davanti al Castello Estense. Corso Ercole I d’Este nel romanzo viene definito “dritto come una spada“. Su questa via si affacciano dei palazzi ricchi di storia. Uno di questi si trova all’incrocio tra Corso d’Este e Corso Biagio Rossetti; ha con una porta monumentale. Si tratta di Palazzo Prosperi, che viene ricordato in un passaggio del romanzo. A fianco del palazzo di trova un piccolo giardino recintato. C’è chi dice che potrebbe essere un giardino che ha ispirato il romanzo.
Bassani amava le mura dell’Angelo così come il protagonista del libro e sicuramente passava spesso in questa parte della città. Nel romanzo viene citato il cimitero ebraico che si trova in Via delle Vigne, non troppo distante da lì. Tornando in Corso D’Este e tenendoci alle spalle la Porta dell’Angelo si arriva presso il Castello degli Estensi. Guardando il castello, prendendo a sinistra e percorrendo il muro di cinta del fossato si raggiunge Corso Martiri della Libertà. Durante la Resistenza, qui, venivano fucilati i partigiani o chiunque non parteggiasse per la Repubblica di Salò. Nel romanzo Bassani descrive questo luogo cogliendolo in pieno giorno, dicendo “lungheggiante in piena luce la fossa del Castello“.
“... più del presente contava il passato, più del possesso il ricordarsene. Di fronte alla memoria, ogni possesso non può che apparire delusivo, banale, insufficiente.”
G.Bassani, Il Giardino dei Finzi-Contini
Oltrepassando il castello, dirigendosi verso la piazza della cattedrale, ci si dirige in Corso di Porta Reno. Quasi alla fine del corso si trova l’incrocio con Via delle Volte. Si giunge in uno scorcio di Ferrara Medievale. Questa via era parte del vecchio ghetto della città, risalente al Medioevo. Il centro del ghetto ebraico di Ferrara era Via Mazzini, che dista da qui circa 400 metri. Ciò che si nota subito in Via delle Volte è, cosa tipica da ghetto, l’altezza delle case. Se nelle altre vie non si superano i due piani, qui si va leggermente oltre, simbolo che non si concedeva l’espansione in larghezza, limitazione tipica di ogni ghetto ebraico in territorio italico.
“Priva di marciapiedi, il ciottolato pieno di buche, la strada appariva anche più buia del solito. Mentre avanzavamo quasi a tentoni, e con l’unico aiuto, per dirigerci, della luce che usciva dai portoncini socchiusi dei bordelli, Malnate aveva attaccato come d’abitudine qualche strofa del Porta”.